
KINGS OF CONVENIENCE Cabaret Sauvage, Parigi, Francia - 14 aprile 2025
C’è qualcosa di profondamente rassicurante nel ritrovarsi a un concerto dei Kings of Convenience. Come se il tempo si fosse messo in pausa, o avesse deciso di rallentare un po’ per lasciarci respirare meglio. Al Cabaret Sauvage di Parigi, tra le luci soffuse e l’atmosfera da circo decadente, Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe hanno ricreato dal vivo quella magia sospesa che, su disco, riescono a tessere con poche note e una sincerità disarmante.
La loro musica, un folk gentile e senza fronzoli, amplifica dal vivo ogni sfumatura emotiva. Più che un concerto, è sembrato un dialogo. Un continuo scambio tra palco e platea, fatto di sorrisi, battute sussurrate e silenzi che valevano quanto le canzoni. Non c’era bisogno di urla o effetti speciali: bastavano due chitarre acustiche, due voci che si rincorrono da più di vent’anni, e un pubblico pronto ad ascoltare davvero.
La scaletta è scivolata via come un piccolo viaggio nella memoria. Per molti italiani in sala – e ce n’erano tanti – quelle canzoni erano familiari come vecchi amici. Brani che riportano alla mente le notti passate a guardare Brand:new su MTV, quando Massimo Coppola introduceva novità che poi sarebbero diventate colonne sonore di una generazione. Era l’inizio dei Duemila. La musica dei Kings of Convenience passava in TV di notte, a volume basso, come una voce che ti parlava all’orecchio mentre il mondo fuori dormiva. E oggi, più di vent’anni dopo, quelle stesse canzoni parlano ancora. Non più solo ai ventenni di allora, ma anche a chi oggi ha vent’anni. Perché la loro forza è proprio lì: nella capacità di comunicare con la lingua della delicatezza, senza età e senza tempo. Il pubblico dei KoC non cerca sorprese eclatanti, ma connessioni sincere. E loro, da veri artigiani del suono, sanno come costruirle, brano dopo brano, con la pazienza di chi ha capito che l’intensità non ha bisogno di volume.
Si ringrazia Paul Ciamporcero @supermonamour per l’ospitalità