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RANCORE & DJ MYKE Suoni e parole dallo stesso universo collegato

Il nuovo ep di Rancore & Dj Myke, “S.U.N.S.H.I.N.E.”, è scaricabile gratuitamente da www.sunshinemusic.it ed è stato anticipato nelle settimane scorse dall’omonimo brano. Un ritorno atteso, per il duo, che ha messo assieme 5 canzoni: «Come tutti i nostri lavori, i brani sono collegati, anche perché – spiega Dj Myke – scaturiscono sempre da noi due». Rincara la dose Rancore: «Se le cose sono nello stesso universo non possono che essere collegate».

Il nuovo video si apre con un intervento del 1963 di Togliatti. Nutrite una particolare stima per quel politico oppure vi interessava veicolare solo un messaggio? 

Dj Myke: «La frase di Palmiro Togliatti l’ho messa nel brano perché racchiude in due parole il mio pensiero. Rancore ha sviluppato un testo con una poetica/metrica che non ha eguali nella lingua italiana a mio parere. In Italia la politica credo si conosca bene, ed il fatto che oggi anche i politici siano dei rapper troppo cresciuti la dice tutta sull’assenza totale della politica stessa. Il verso di Virgilio enunciato da Togliatti “…voi fate il miele, o api, ma sono altri che lo godono” dice tutto, non credo ci sia altro da aggiungere».
Rancore: «La citazione di Togliatti è stata una vera genialata, come tutta la produzione musicale di Myke, le aggiunte superflue sono controproducenti».

Sembra che a volte, nonostante sia la mia mano a scrivere, non sia io a muoverla. Che stronzo che sono nel prendermi tutti i meriti…

“Tu non devi venerare il sole ma la luce che vedi….”. Su questa frase del nuovo pezzo è nata parecchia discussione sul web. Vuoi provare a spiegarla, Tarek?

Rancore: «Chi cerca un solo senso in questa frase, per poi renderlo suo dandomi ragione, non ha capito la frase stessa. A cosa serve aver espresso un concetto con la musica, se dopo viene completamente spogliato da una spiegazione. E’ proprio qui la differenza tra il sole, e la luce che vedi. Io credo che questa frase verrà capita sempre di più con il passar del tempo, con i prossimi avvenimenti e cambiamenti del mondo. C’è una guerra filosofica che sconvolgerà l’uomo e che tutti noi stiamo sottovalutando, e saranno le nostre consapevolezze più profonde, e soprattutto la scelta che faremo, a determinare l’esito di questa guerra. Io vorrei che le persone riflettessero, lo facessero a fondo, non tralasciassero nulla, e nel momento in cui ancora non trovano un senso, venissero a chiedermi spiegazioni, ma solo dopo averle pensate tutte. Faccio io una domanda: perché mettere un codice (che spesso è proprio una metafora) se poi devo svelarne i segreti?».

Come sta la scena hip hop italiana? 

Rancore: «La scena hip hop italiana non è mai stata meglio, ora che è uscito “S.U.N.S.H.I.N.E.”. Per il resto, sento un po’ di puzza di selvaggina».

Parliamo di suoni, Myke. Cosa ti affascina?

Dj Myke: «Io mi sento un contemporaneo, non ci sono suoni più accattivanti di altri, è il contesto che fa da tela bianca sulla quale apporre quei determinati colori. Non guardo al passato perché è malinconico, ma non dimentico il passato in quanto cultore di un aspetto che mi piace molto, sapere da dove si viene per sapere poi dove andare o scegliere di andare liberi. In senso generale credo che oggi sia in Italia che in Europa ci siano dei gran talenti musicali».

Il lavorare sui suoni è un esercizio quotidiano, è un’attitudine, è talento? Insomma, è qualcosa di allenabile?

Dj Myke: «E’ tutti questi aspetti messi insieme: siamo umani, tutto è allenabile. Ma un aspetto ci deve essere e non si può trascendere: ti deve piacere da morire tutto ciò. Citando una frase di Rancore del brano “Non esistono”: “…io, amo questo lavoro”».

Oggi il rap in Italia spopola. Ma a chi dobbiamo dire “grazie”? 

Dj Myke: «Per quello che mi riguarda dico “grazie” alla mia testardaggine e a quella di Rancore, per il resto non so proprio cosa dirti: più che dire “grazie” avrei altri pensieri per determinati signori».
Rancore: «L’hip hop nasce da un dj, ed io, in quanto rapper, ho la fortuna di lavorare insieme ad un vero capo della produzione e del turntablism. Io so che davvero Myke ha spinto questo genere, quando era ancora un passatempo per pochi».

Myke, volevo chiederti qualcosa sul tuo lavoro recente con Max Zanotti. Per noi è il miglior disco uscito nel 2015 fra quelli ascoltati. Sei soddisfatto dei feedback ricevuti e credi abbia avuto la visibilità che meritava?

DELLA_VITA_DELLA_MORTE.jpgDj Myke: «Innanzitutto grazie mille, è un onore per me sapere questo. Diciamo che “Della Vita Della Morte” è stato il disco della mia salvezza, nel senso che in quel periodo stavo completamente a terra e devo dire “grazie” a Max che mi ha convinto a fare quest’opera insieme di cui vado molto fiero. Non ti nascondo che ci sono stati molti problemi di gestione su quel lavoro e purtroppo abbiamo deciso di accantonarlo, rinunciando a tour, promozione e molto altro. E’ un lavoro che porterò sempre con me e farlo con una persona come Max Zanotti mi ha accresciuto come uomo e come musicista, ma ultimamente non sono molto affine con l’industria discografica e le sue regole. Ti rispondo poi all’ultima domanda: no, non sono soddisfatto dei feed ricevuti, il compact ne meritava (positivi e negativi, ovvio) molti di più».

Tarek, mi incuriosisce molto il tuo rapporto con la scrittura. Come lavori sulle parole? Ci sono particolari situazioni, luoghi, persone o eventi che stimolano la tua scrittura?

Rancore: «Ascoltare attentamente la realtà intorno a me è la cosa che stimola di più la mia scrittura. Ascoltare i discorsi delle persone che mi circondano, ascoltare le persone per strada, ascoltare i suoni della città o della profonda natura, ascoltarmi dentro. Accendere le orecchie è più complesso che aprire gli occhi, necessita più fiducia. Sembra che a volte, nonostante sia la mia mano a scrivere, non sia io a muoverla. Che stronzo che sono nel prendermi tutti i meriti».

All’ep seguirà un disco? Ci state lavorando? Insomma, che progetti avete?

Rancore & Dj Myke: «L’ep è un disco – sorridono – diventerà casomai un disco in vinile, che suona meglio con un inedito che suona meglio anche a dirsi».

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