ADRIANO CANZIAN Politica, ignoranza, degrado e psicofarmaci. «Ecco gli "Zombies" del mio nuovo album»
Non è mai banale Adriano Canzian. Non lo è quando c’è la musica di mezzo. Non lo è quando si tratta di prendere posizione su un qualunque argomento di attualità. Il suo è sempre un pensiero diretto e la sua è sempre un’analisi lucida. “Zombies” è il nuovo lavoro dell’artista che qualche anno fa Dj Hell ha accolto nella sua factory e che adesso torna con un album dal suono omogeneo, che sa di concept e che segna un passo avanti nella sua già corposa discografia.
Partiamo dal nuovo lavoro, Adriano. Chi sono gli “Zombies” che citi nel titolo?
«Ce ne sono di varie tipologie. Una di queste è composta da tutte quelle persone che non ragionano più con la loro testa, ma si allineano ai pensieri, ai giudizi e ai pareri predominanti nella società. Che si esprimono non perché credono in ciò che dicono, ma perché vogliono essere accettati, far parte del branco, cosa da cui poi derivano conflitti interiori devastanti, che sfociano in autentiche patologie psicologiche, da curare con psicofarmaci di ogni tipo, spesso abusandone, e diventando dei veri e propri zombi».
Altri esempi?
«Un’altra categoria è quella di coloro che dicono “…l’hanno detto in TV, quindi è vero”, “…l’ho letto in un articolo di giornale, quindi è così”. Non si informano, non verificano le informazioni, non si pongono domande al riguardo. Un’altra è quella di tutta la gente che “sopravvive”, spesso tristemente, pensando che la vita sia quella e non si possa cambiare in meglio. Che credono di non aver alcun controllo sulla propria esistenza. Che sia un’entità superiore a decidere per loro».
Un panorama desolante. Continua…
«Poi ci sono quelli che non votano, perché “della politica non gli interessa nulla”, senza rendersi conto che le loro vite sono totalmente influenzate e condizionate dalle scelte dei nostri governanti. Ma gli zombi a cui mi riferisco sono anche quelle persone che nel mondo muoiono ancora di fame o quelle che, a causa di qualche malattia, si trasformano fisicamente. O tutti quei ragazzini (ma anche adulti) che vedi nei club completamente drogati, incapaci di camminare o di stare in piedi, come cavalli anestetizzati. O i nuovi teenagers che passano tutto il loro tempo davanti a computer, tablet, smartphone, convinti che la loro vita sia relegata solo ed esclusivamente a quegli oggetti. Infine ci sono gli zombi della tv e della politica, gente che ha 80/85 anni e continua a restare attaccata alla sua poltrona senza lasciare spazio ai giovani».
L’impressione che ho oggi è che la maggior parte degli artisti crei solo per compiacere il pubblico, o semplicemente per fare soldi, come se avesse dimenticato che l’arte può cambiare il mondo
Tu hai vissuto diverse epoche della musica elettronica. Visti da sopra la pedana, sono diversi i giovani di oggi rispetto a quelli di 10-15 anni fa?
«Sì, decisamente. Credo che le cause siano diverse, prima fra tutte la crisi economica mondiale, che oltre a togliere ai giovani la possibilità di disporre di denaro per andare nei locali e bersi un drink con gli amici, ha tolto la speranza di avere un futuro sereno e felice. Sono certo che questa situazione oggi condizioni anche il modo di divertirsi. Un altro fattore penso sia la noia generale che regna tra i giovani, che passano giornate intere a “vivere” nei social network, dove tutto scorre velocissimo, senza avere il tempo di metabolizzare le cose, le emozioni, e che porta all’alienazione, alla frustrazione e all’insoddisfazione. Non a caso, spesso su alcuni di questi social sono presenti pubblicità che propongono rimedi all’ansia e/o alla depressione».
E’ cambiato invece il ruolo dell’artista in quest’epoca dove sembrano caduti uno a uno tutti gli ideali e i valori?
«Ho sempre pensato che un artista debba percorrere strade nuove per comunicare con la gente, per farla riflettere, sbattergli in faccia le varie realtà sociali di quel periodo storico. Per risvegliare i loro animi e quindi spingerli a ragionare e a cambiare le cose. L’impressione che ho oggi è che la maggior parte degli artisti crei solo per compiacere il pubblico, o semplicemente per fare soldi, come se avesse dimenticato che l’arte può cambiare il mondo, e che in questo processo loro hanno un ruolo fondamentale».
Che ricordi conservi della tua esperienza con Hell nella sua factory? E visto che hai frequentato la scena internazionale, che opinione hanno all’esterno dell’elettronica italiana?
«L’esperienza con la Gigolo Records la ricordo in gran parte con grande piacere. Sono partito da lì e ho avuto l’onore di entrare a far parte, come unico italiano, di quella factory, che all’epoca ospitava molti artisti di enorme talento. Poi ci sono state delle incomprensioni, che mi hanno fatto decidere di andarmene e prendere un’altra strada. Ciò nonostante, sarò sempre grato a Hell di avermi scoperto e lanciato. Tutto il resto ormai è acqua passata. In questi ultimi 10 anni ho suonato moltissimo all’estero, quindi ne deduco che della musica elettronica “Made in Italy” abbiano una buona opinione».
Del tuo nuovo album mi piace la compattezza dell’insieme, sembra quasi una lunghissima traccia più che un mix di canzoni. Com’è nato il compact e come lo hai lavorato per giungere a una compattezza tale?
«E’ un progetto che ho cominciato 3 anni fa. Trattando temi difficili, di disagio sociale, ho faticato molto a creare la compattezza di cui parli. A un certo punto avevo quasi 50 tracce e non riuscivo più a selezionare e finire quelle giuste. Quando ci sono riuscito, mi sono reso conto, anche grazie al fatto che nei miei album non ci sono spazi vuoti tra una traccia e l’altra, che avevo creato un disco con 15 tracce, ma che in realtà era un’unica traccia di 75 minuti, che con le prime tracce ti anestetizzava e ti svuotava la mente, ma continuando l’ascolto a un certo punto ti prendeva per le budella e ti trascinava in zone profonde e oscure dell’anima, senza pietà. Ho ritenuto di inserire a metà del disco un “intervallo” per rilassare l’ascoltatore. Era esattamente quello che volevo, per questo ho rifiutato proposte interessanti con label conosciute e famose, ma che non volevano pubblicare il mio lavoro in CD, solo in digitale. Ovviamente, per avere quell’effetto di unica, lunga e convulsa traccia, serviva la pubblicazione anche in CD. Una piccola label spagnola (i-traxx records-red edition) ha apprezzato il mio progetto e ha deciso di investirci dei soldi, pubblicandolo sia in digitale che in CD».
Avessi potere farei immediatamente una legge per tutelare i diritti delle coppie di fatto e per dare la possibilità, se lo desiderano, alle coppie omosessuali di sposarsi, e ovviamente una legge durissima contro l’omofobia e il razzismo
In una tua intervista ho letto che la vera pornografia sta nel voler tenere il livello culturale basso in Italia. Avessi potere politico, quali sarebbero le prime tre cose che faresti?
«Primo: cambierei immediatamente la legge elettorale, voglio poter votare la persona x o y perché mi fido di lei e non un partito che poi sceglie chi mettere al potere. Lo trovo assolutamente ingiusto. Secondo: farei una legge che impedisce totalmente che i media siano condizionati o gestiti dai partiti. Credo che la stampa debba essere libera e che debba informare il cittadino dell’operato dei politici pagati da noi per rendere le nostre vite migliori. Terzo: abbasserei di molto (ma di molto) gli stipendi ai politici, toglierei tutte le agevolazioni che hanno in quanto tali, e applicherei le stesse condizioni che hanno i cittadini per arrivare alla pensione. A quelle condizioni, credo che i politici lo farebbero come mestiere solo per l’interesse sincero del benessere dei cittadini. Se posso aggiungere una quarta cosa (non meno importante, anzi), farei immediatamente una legge per tutelare i diritti delle coppie di fatto e per dare la possibilità, se lo desiderano, alle coppie omosessuali di sposarsi, e ovviamente una legge durissima contro l’omofobia e il razzismo».
La musica ti ha dato tanto, ma cosa ti ha tolto?
«Credo non mi abbia tolto nulla. O se l’ha fatto non me ne sono accorto».
Nel disco ci sono diversi brani che sembrano un invito a spegnere la testa per pensare momentaneamente a nulla, mentre la musica fa il resto. In quest’ottica penso a un brano come “Screaming Into The Water”. Come consiglieresti di ascoltare “Zombies”? In una particolare ora del giorno, al buio piuttosto che con la luce? Insomma, qual è il manuale di istruzioni di questo album?
«Non c’è un vero e proprio manuale di istruzioni per l’ascolto di “Zombies”. Sicuramente va ascoltato con attenzione, non lo vedo troppo adatto come colonna sonora di un party in casa con gli amici. Alcune tracce sono davvero molto complesse e potenti e contengono suoni o effetti che rimandano a situazioni reali di sofferenza e degrado. “Screaming Into The Water” è una di quelle tracce, ed è nata pensando a tutta la povera gente disperata che muore nel tentativo di raggiungere le nostre coste per avere una vita migliore, felice e dignitosa. La risata femminile invece rappresenta una politica italiana, razzista e xenofoba, che detesto non poco».
E’ solo competizione, quella che c’è nel tuo ambiente, oppure alla base c’è anche profondissima invidia fra artisti?
«Ho conosciuto artisti molto competitivi e altri molto invidiosi, solitamente queste persone non sono interessanti da un punto di vista creativo/artistico. Spesso invece, in artisti molto interessanti, creativi e originali, non ho intravisto né un briciolo di invidia, né di competizione. Quindi credo che la bravura di un produttore sia inversamente proporzionale all’invidia e alla competizione che può avere nei confronti dei colleghi».
Adesso tutti parlano di Berlino, tutti vanno a vivere li, tutti frequentano lo stesso locale cool, ma questo non significa che siano bravi produttori, o che l’ambiente in cui stanno li faccia diventare grandi artisti
Hai vissuto in diverse città. Quali sono, oggi, gli epicentri della creatività?
«Tutti quei posti (città, province o paesi) dove viene data molta importanza alla cultura, all’arte, alla creatività e alla sperimentazione. Un collega noto di cui non faccio il nome è uno dei produttori più importanti al mondo da 20 anni e vive e lavora in un paesino di 200 persone sperso in mezzo al nulla. Adesso tutti parlano di Berlino, tutti vanno a vivere li, tutti frequentano lo stesso locale cool, ma questo non significa che siano bravi produttori, o che l’ambiente in cui stanno li faccia diventare grandi artisti. Anzi, credo che possano solo essere influenzati da ciò che ascoltano, e quindi produrre solo copie, che spesso sono copie molto brutte. Ciò nonostante, Berlino è sicuramente un grande epicentro di creatività, ma ritengo sia sopravvalutata».
La sessualità è ancora un tema in grado di ispirarti? Te lo chiedo perché ormai tutte le icone del pop moderno (penso a Lady Gaga, ad esempio) ne fanno un ampio uso e il tema ormai, complice anche Internet, appare sempre più inflazionato.
«Assolutamente no. Con “Pornography” ho esplorato e usato quel tema perché in quegli anni vivevo il sesso in modo molto intenso. Con “Metamorphosis” sentivo già che quella parte della mia vita stava svanendo, mi sentivo appunto in fase di metamorfosi, e anche se qualche traccia trattava ancora il tema del sesso, altre sensazioni e emozioni avanzavano, più profonde, e anche a tratti inquietanti, come quando ho composto “Mantid” o “Black Widow”, che “parlano” di comportamenti animali sconvolgenti ma assolutamente naturali. Mi incuriosivano molto. Con “Zombies” sono passato dal mondo animale (privo di coscienza) a quello umano (dotato di coscienza). Ciò nonostante, i due mondi spesso coincidono a livello comportamentale. Da lì la scelta del titolo dell’album».
Björk? Quando me la sono ritrovata davanti, ho provato sensazioni impossibili da spiegare a parole. Ho capito – dai suoi occhi, da come mi parlava, da come si muoveva – che avevo davanti un genio, un alieno
Nella tua carriera hai avuto la fortuna di fare tanti incontri. Ce n’è uno che ti è rimasto particolarmente in mente e perché?
«Sì, quando ho incontrato e conosciuto Björk, grazie ad un amico giornalista e DJ. Era a Milano per promuovere “Vespertine”. Abbiamo scambiato pochissime parole, profumava di violetta. Quando me la sono ritrovata davanti, ho provato sensazioni impossibili da spiegare a parole. Ho capito – dai suoi occhi, da come mi parlava, da come si muoveva – che avevo davanti un genio, un alieno. Il suo carisma mi ha letteralmente sconvolto, al punto che per una settimana sono stato male. Continuavo a sentire il suo profumo, come se la sua creatività ed energia mi avessero trafitto, ribaltando e scombussolando tutti i livelli della mia coscienza e tutto il sistema endocrino. Non lo dimenticherò mai».
Come si distingue una produzione farlocca da una fondamentalmente originale?
«Per quanto mi riguarda, è molto semplice: se è farlocca, non provo nulla e passo oltre. Se è originale, mi vengono i brividi, il battito del cuore aumenta, il mio cervello comincia ad andare in tilt, e mi sento meravigliosamente bene».
Stai già lavorando a cose nuove, vero?
«Dopo l’ultimo EP in vinile “Macho Boy” Females Reworked 2013 Edition, Feat.Yasmin Gate & Anna Patrini, pubblicato dall’italiana 51beats (progetto a cui tenevo moltissimo, in quanto è uscito esattamente 10 anni dopo la versione originale di “Macho Boy” per la Gigolo Records), ho lavorato con il duo Hard Ton su 4 nuove tracce, che verranno pubblicate su 2 vinili. È stato un esperimento, in quanto musicalmente siamo agli estremi opposti. Ma era una sfida che entusiasmava entrambi, e siamo molto felici del risultato. Sono tracce interessanti, perché rappresentano una fusione perfetta e armoniosa tra la mia parte dark e la loro parte… pink. Tra l’altro sono state subito volute e “bloccate” da una delle label tedesche più “cool” del momento. Quindi l’esperimento è riuscito, e a breve lo rifaremo».